sabato 3 novembre 2012

TERRA BENE COMUNE


Negli ultimi quarant’anni l’Italia ha cementificato un territorio pari alla superficie di Liguria, Lombardia ed Emilia Romagna messe assieme. Contestualmente a questo enorme e criminale consumo di suolo, l’agricoltura, il cosiddetto settore primario, è stato oggetto di una industrializzazione massificata: alla piccola proprietà contadina s’è sostituito il latifondo, e progressivamente il modello industriale ha scardinato un equilibrio agricolo fatto di tradizioni millenarie. Un equilibrio, quello scomparso, che garantiva prima di tutto la capillare manutenzione idrogeologica del territorio e secondariamente la tutela di un ambiente inteso come luogo di lavoro e soprattutto di vita. Il ciclo chiuso della campagna è stato aperto e ricondotto a logica lineare: quei prodotti di scarto che prima erano ricchezza da riutilizzare sono via via scomparsi sostituiti da materiale inerte da conferire in discariche sempre più esauste. I concimi organici sono stati sostituiti da quelli di sintesi chimica. I terreni si sono impoveriti quando non addirittura avvelenati con sversamenti di ogni genere. Le stagionalità sempre più ignorate. La vita è stata brevettata in organismi geneticamente modificati. Nelle campagne abbondano oggi i pesticidi che generando inquinamento sconvolgono il naturale ecosistema e per via di un naturale processo di difesa e di reazione sono aumentate nel corpo umano le intolleranze alimentari e i tumori si sono moltiplicati.

Fortunatamente registriamo oggi una positiva controtendenza. L’agricoltura scopre un incremento inaspettato. Un processo che odora di ritorno alla terra, ad opera soprattutto di giovani che non trovano collocazione lavorativa. Ovviamente la crisi a riguardo non è fattore neutrale.
Vogliamo essere interpreti di questo cambiamento, di questo ritorno alle origini, promuovendo una politica che vede nel rispetto della terra un fattore d’emancipazione del genere umano. Non solo pretendiamo un uso regolato del suolo, ma in esso conferiamo quella sacralità che oramai pare essere andata perduta. La terra è vita che deve essere protetta. Da incentivare sono quindi tutte le forme di autoproduzione, la filiera cosiddetta “corta” dei prodotti coltivati e venduti in mercati locali, che generano lavoro sano garantendo il rispetto dell’ambiente. La diffusione di produzioni compatibili con l’ambiente, estranee all'uso di prodotti di sintesi ma fondate su metodi biologici e biodinamici. Così pure negli orti sociali, nella possibilità offerta alla gente di fruire da se stessi dei frutti dei loro sacrifici, intravediamo un modello organico dello stare insieme, non solo un metodo per opporsi alla crisi ma un vero e proprio esempio di coesistenza sociale.
Il Polesine, a differenza di buona parte del Veneto, ha risentito meno dei processi di cementificazione. Occorre fare ricchezza di questa singolarità trasformando questo lembo di terra in un polo dell'agricoltura di qualità. Al di là di un modello apparentemente neutro si nasconde un insieme di valori socialmente imposti.
In discussione è la sussistenza del genere umano e la conservazione di tradizioni, colture e varietà che meritano d’essere tutelate e conservate.
La terra non è e non sarà mai una merce. È un bene comune.



31-10-2012 – M.C. per Comitato pro Vendola –vicolo Ponchielli 45100 Rovigo

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