Negli
ultimi quarant’anni l’Italia ha cementificato un territorio pari
alla superficie di Liguria, Lombardia ed Emilia Romagna messe
assieme. Contestualmente a questo enorme e criminale consumo di
suolo, l’agricoltura, il cosiddetto settore primario, è stato
oggetto di una industrializzazione massificata: alla piccola
proprietà contadina s’è sostituito il latifondo, e
progressivamente il modello industriale ha scardinato un equilibrio
agricolo fatto di tradizioni millenarie. Un equilibrio, quello
scomparso, che garantiva prima di tutto la capillare manutenzione
idrogeologica del territorio e secondariamente la tutela di un
ambiente inteso come luogo di lavoro e soprattutto di vita. Il ciclo
chiuso della campagna è stato aperto e ricondotto a logica lineare:
quei prodotti di scarto che prima erano ricchezza da riutilizzare
sono via via scomparsi sostituiti da materiale inerte da conferire in
discariche sempre più esauste. I concimi organici sono stati
sostituiti da quelli di sintesi chimica. I terreni si sono impoveriti
quando non addirittura avvelenati con sversamenti di ogni genere. Le
stagionalità sempre più ignorate. La vita è stata brevettata in
organismi geneticamente modificati. Nelle campagne abbondano oggi i
pesticidi che generando inquinamento sconvolgono il naturale
ecosistema e per via di un naturale processo di difesa e di reazione
sono aumentate nel corpo umano le intolleranze alimentari e i tumori
si sono
moltiplicati.
Fortunatamente registriamo oggi una positiva
controtendenza. L’agricoltura scopre un incremento inaspettato. Un
processo che odora di ritorno alla terra, ad opera soprattutto di
giovani che non trovano collocazione lavorativa. Ovviamente la
crisi a riguardo non è fattore neutrale.
Vogliamo
essere interpreti di questo cambiamento, di questo ritorno alle
origini, promuovendo una politica che vede nel rispetto della terra
un fattore d’emancipazione del genere umano. Non solo pretendiamo
un uso regolato del suolo, ma in esso conferiamo quella sacralità
che oramai pare essere andata perduta. La terra è vita che deve
essere protetta. Da incentivare sono quindi tutte le forme
di autoproduzione, la filiera cosiddetta “corta” dei prodotti
coltivati e venduti in mercati locali, che generano lavoro sano
garantendo il rispetto dell’ambiente. La diffusione di produzioni
compatibili con l’ambiente, estranee all'uso di prodotti di
sintesi ma fondate su metodi biologici e biodinamici. Così pure
negli orti sociali, nella possibilità offerta alla gente di fruire
da se stessi dei frutti dei loro sacrifici, intravediamo un modello
organico dello stare insieme, non solo un metodo per opporsi alla
crisi ma un vero e proprio esempio di coesistenza sociale.
Il
Polesine, a differenza di buona parte del Veneto, ha risentito
meno dei processi di cementificazione. Occorre fare ricchezza di
questa singolarità trasformando questo lembo di terra in un
polo dell'agricoltura di qualità. Al di là di un modello
apparentemente neutro si nasconde un insieme di valori socialmente
imposti.
In
discussione è la sussistenza del genere umano e la conservazione di
tradizioni, colture e varietà che meritano d’essere tutelate e
conservate.
31-10-2012
– M.C. per Comitato pro Vendola –vicolo Ponchielli 45100 Rovigo
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