Contratti atipici che mascherano posizioni lavorative ben definite e durature nel tempo, assunzioni costantemente a tempo determinato, impossibilità da parte di intere generazioni di programmare la propria esistenza, inserimenti lavorativi a condizioni di assoluta miseria: si parla anche di 300/400 euro per un mese di lavoro a tempo pieno.
Sembra, in meno di un decennio, di essere stati catapultati in uno di quei romanzi di Dickens che così bene descriveva la condizione dei working poors nella Inghilterra di metà ‘800 .
Tutto questo si inserisce in un panorama politico in cui appare chiaro il macabro tentativo di fare saltare i pochi presidi giuridici a tutela della sicurezza del posto di lavoro come l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. L’amarezza che credo in ognuno di noi pervade è che lo fanno in nome del lavoro stesso! Affrancare l'uomo dalla povertà. Questo verbo che ai principi del ventesimo secolo pervadeva il registro politico della sinistra era scomparso dal nostro discorso politico e persino dal nostro vocabolario: abbiamo pensato che l’obiettivo di eliminare la povertà, almeno, lo Stato Italiano, la Repubblica Italiana lo avesse raggiunto perchè inspirato, come ci sembrava, dai principi del welfarework. Eppure , oggi, scopriamo che siamo costretti a rispolverare la terminologia del secolo scorso. E ci accorgiamo che i soggetti che dobbiamo affrancare dalla povertà non sono solo gli anziani e le persone con difficoltà oggettive, ma le giovani donne ed i giovani uomini di questa regione, gente nel pieno del loro vigore fisico e della loro attività intellettuale.
Per questo Sinistra Ecologia Libertà aderisce con convinzione al presidio organizzato contro la precarietà dalla CGIL.
SEL, con l’occasione, ribadisce quello che è un punto programmatico del partito a livello nazionale: il reddito minimo di inserimento: una forma di sostegno per tutte quelle donne e quegli uomini privi di lavoro che accettano percorsi di reinserimento lavorativo. Esso, oltre essere un indice di civiltà, consentirebbe di rifiutare, potendo contare su un contributo minimo, qualsiasi forma di sfruttamento del lavoro. Molti datori di lavoro, infatti, oggi, approfittano della condizione di precarietà dei lavoratori poichè questi sono privi di altre forme per sostenersi se non quelle derivanti dai tanti contratti capestro legalizzati da quella che viene impropriamente chiamata Legge Biagi.
Mirko Bolzoni
Coordinatore Provinciale di SEL
Nessun commento:
Posta un commento