Amartya
Sen, premio Nobel per l’economia nel 1998, causticamente sostiene:
“non esiste penuria nel mondo, il solo problema con cui dobbiamo
confrontarci è quello della logistica”.
La
politica di un Paese sviluppato non può trascurare – come l’Italia
pare nel corso degli ultimi decenni avere fatto – il tema
dell’allocazione delle risorse, il diritto alla mobilità dei
cittadini, la distribuzione efficiente delle materie e prodotti che
aziende e consumatori rispettivamente utilizzano e adoperano.
L’analisi dei problemi in cui versa il settore è la premessa
necessaria per una loro possibile soluzione.
Soltanto
il 6% delle merci che quotidianamente vengono movimentate in Italia
viaggia su rotaie, il resto è veicolato attraverso gomma: camion e
furgoni che generano evidenti problemi di inquinamento ambientale.
Quello ambientale è tuttavia purtroppo un aspetto del problema, non
l’unico. Il numero eccessivo di competitori che operano in un
mercato privo di regole, ha generato nel tempo una competizione
malata, dove il prezzo più salato viene pagato dai lavoratori che vi
sono impiegati. Esiste all’uopo tutta una fenomenologia dello
sfruttamento, dell’evasione fiscale e del malaffare che di tanto in
tanto sale agli onori della cronaca svelando l’impotenza delle
istituzioni e il disinteresse della politica.
E
se le merci sono abbandonate al loro destino, di questi tempi è
messa in discussione pure la mobilità delle persone: un principio
che dovrebbe essere tutelato costituzionalmente. Il trasporto
pubblico locale vive dei finanziamenti che attraverso le regioni il
fondo nazionale eroga. Gli ultimi anni ne hanno descritto una
progressiva erosione con notevoli difficoltà per le aziende di
garantire un servizio adeguato. Il panorama italiano è a riguardo
assai variegato con differenze notevoli tra regione e regione oltre
che tra province al’interno della stessa regione: differenti le
compagini sociali delle aziende (private o a partecipazione
pubblica), differenti sono i fondi che le stesse percepiscono sui
chilometri percorsi, diseguali il trattamento economico dei
lavoratori e il costo del biglietto pagato dagli utenti.
La
politica porta una grave responsabilità nell’avere riversato sulla
collettività i costi della sua manifesta incapacità. Nel non aver
saputo razionalizzare ed efficentare il servizio, eliminando
doppioni, riducendo lo spreco, promuovendo politiche d’incentivazione
all’utenza e contribuendo a generare economie di scala, magari
eliminando qualche consiglio di amministrazione prima di colpire
utenti e lavoratori. Con i dovuti distinguo il ragionamento può
essere tranquillamente mutuato al comparto ferroviario, che pare
dirigersi verso un servizio meramente commerciale piuttosto di
rispondere ai bisogni dei pendolari, lavoratori e studenti.
Il
comparto del trasporto italiano, in tutte le sue declinazioni, svela
dunque il fallimento più eclatante delle politiche liberiste
perseguite degli ultimi decenni. Agli operatori del trasporto è
stata addossata la responsabilità di sostenere un mercato falsato e
disorganizzato, dove ognuno finisce per trovare la propria e del
tutto personale scappatoia. Insomma, secondo la solita vecchia
maniera, tipicamente italiana, di pensare ad una concorrenza avulsa
da un quadro normativo chiaro e condiviso! Il Comitato per Nichi
Vendola intende suggerire una riflessione sul tema, nell'ottica di un
progetto di ribaltamento del funzionamento del trasporto merci.
Innanzitutto lanciando l'idea di una regolamentazione chiara e
coerente dei trasporti, che ponga al centro un potenziamento della
mobilità di merci e persone su rotaia, oltre che di tipo fluviale e
marittimo (caratteristiche particolarmente congeniali anche nel
nostro territorio), nella prospettiva di un'emancipazione del settore
dai capricci delle leggi liberiste della concorrenza e di
disincentivo dei trasporti aerei e su gomma, altamente impattanti dal
punto di vista ambientale.